Anoressia Adolescenziale Femminile:

Condizione biologica,

cause e trattamento psicologico e nutrizionale

 

 

LORENZO BRACCO

Medico Chirurgo, Specialista in Fisiatria, Psicoterapeuta

lorenzobracco4@gmail.com   telefono: +39 333 1632321

Anoressia Adolescenziale Femminile:

condizione biologica, cause e trattamento psicologico e nutrizionale

(Anoressia Adolescenziale Femminile:

condizione biologica, cause e trattamento psicologico e nutrizionale)

 

Abstract:

L’Anoressia Adolescenziale Femminile riconosce alcune cause psicologiche della ragazza e della sua famiglia, ma necessita di una condizione biologica:

Diverso gruppo sanguigno (0, A, B, AB) fra madre e figlia

+ Contatto di sangue tra le due durante la gravidanza e/o la nascita.

Riconoscere questa condizione ci permette di formulare una diagnosi precoce, alle volte addirittura una diagnosi predittiva, e una giusta visione della relazione madre/figlia, che non è conflittuale ma è semplicemente turbata da un allarme immunologico. Ci permette anche di fare un reframing, ovvero un cambiamento della cornice: vedere il rapporto madre/figlia non più come conflittuale bensì come un rapporto che è pervaso da un allarme di fondo. E l’allarme è una conseguenza di un amore disfunzionale non modulato e che tende a cadere nell’eccesso di preoccupazione, ma è purtuttavia, anche se disfunzionale, una forma di amore. Il confitto invece no.

Cause psicologiche e nutrizionali e relativo trattamento.

 

Keywords: Anoressia, Gruppo sanguigno, Adolescente, Lorenzo Bracco, Trauma, Trauma placentare, incompatibilità sanguigna, Diagnosi predittiva, Diagnosi precoce.

 

Anoressia

L’anoressia è un disturbo alimentare che nei casi più gravi può protrarsi per un periodo prolungato di tempo e può comportare il rifiuto totale del cibo.

Al fine di prevenire e curare l’anoressia nervosa, dobbiamo distinguere tra:

Anoressia Indipendente dal sesso e dall’età (la forma di anoressia che può insorgere a qualsiasi età sia nei maschi che nelle femmine) e

Anoressia Adolescenziale Femminile (l’anoressia che si presenta nel sesso femminile durante l’adolescenza e può avere ricadute in tutto il corso della vita).

Tra questi due tipi di anoressia, la prevalente e la più pericolosa è l’Anoressia Adolescenziale Femminile.

Anoressia indipendente dal sesso e dall’età

Questa anoressia può essere un sintomo o una conseguenza di:

  • Chemioterapia
  • Alcuni tipi di cancro
  • Alcune malattie
  • Alcuni disturbi ormonali
  • Burnout
  • Depressione

Per prendersi cura di questo tipo di anoressia dobbiamo trattare le cause o le situazioni di cui è un sintomo o una conseguenza.

Occorre anche un programma di rieducazione alimentare gestito dallo specialista, perché, dopo un lungo periodo di digiuno e/o un periodo di alimentazione deficitaria, la persona ha perso l’orientamento nel mangiare. Il programma di rieducazione alimentare deve coinvolgere attivamente la persona in modo che non solo acquisisca teoricamente le conoscenze, ma anche adegui le sue abitudini alimentari ad una dieta corretta. A questo scopo è necessario coinvolgere nella terapia la figura del nutrizionista.

Il trattamento di questo tipo di anoressia richiede l’intervento del medico e, molto spesso, in parallelo l’intervento dello psicoterapeuta. Ciò è particolarmente vero nel caso dell’anoressia derivante da burnout e da depressione, che spesso si manifesta dopo un periodo di stress estremo anche durante l’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, in risposta a un tentativo fallito di cercare l’accettazione all’interno della famiglia o della società. La depressione può anche manifestarsi come risultato di un’esperienza di esclusione che una persona ha subito, come separazione dalla famiglia, divorzio, cessazione del lavoro, pensionamento, ecc… Questa depressione può assumere aspetti particolarmente gravi e può essere causa di disturbi alimentari. La maggior parte delle volte questi disturbi alimentari assumono la forma di un consumo eccessivo di cibo perché una persona cerca conforto e compensazione per mancanza di affetto. Altre volte, tuttavia, questi disturbi alimentari possono comportare un’insufficiente assunzione di cibo, che può potenzialmente trasformarsi in anoressia, specialmente quando un individuo è così amareggiato da non avere più la voglia di vivere. Di solito questa anoressia risponde relativamente bene alla terapia farmacologica, mentre l’Anoressia Adolescenziale Femminile non reagisce alla terapia farmacologica.

Anoressia Adolescenziale Femminile: lo stato dell’arte e la novità

L’Anoressia Adolescenziale Femminile (il tipo di anoressia prevalente e più pericoloso) si manifesta proprio durante la fase in cui sbocciano la femminilità e la fertilità della giovane donna. Ci possono anche essere ricadute di questa forma di anoressia in tutto il corso della vita. Questo tipo di anoressia colpisce società e classi sociali in cui la varietà e la quantità di cibo sono abbondanti.

L’Anoressia Adolescenziale Femminile è caratterizzata da:

  • perdita estrema di peso
  • interruzione del ciclo mestruale (in un periodo vicino al primo ciclo mestruale, e non oltre tre anni da esso)

Questi primi due fatti sono sufficienti per la diagnosi di Anoressia Adolescenziale Femminile.

Inoltre è caratterizzata da:

  • perdita delle forme femminili (seno, fianchi e sedere)
  • percezione distorta del proprio peso (che sembra sempre eccessivo)
  • desiderio di sottoporre il corpo a sforzi fisici al di là delle proprie capacità
  • rifiuto di riconoscere la gravità della situazione.

C’è un accordo generale sul fatto che le cause dell’Anoressia Adolescenziale Femminilesiano collegate a disfunzionali:

  • relazione con se stessa
  • relazione madre/figlia
  • relazione padre/figlia
  • relazione tra la ragazza e l’ambiente che la circonda
  • abitudine alimentare della ragazza e della famiglia
  • comunicazione affettiva ed emotiva tra i membri famiglia.

Le cause dell’anoressia sono spiegate in vari modi da vari modelli terapeutici, ma io inoltre ho identificato una condizione specifica delle adolescenti che lottano con l’anoressia.

Condizione biologica per l’Anoressia Adolescenziale Femminile:

diverso gruppo sanguigno (0, A, B, AB) tra madre e figlia +

contatto traumatico di sangue tra le due durante la gravidanza e/o la nascita

Sono medico e psicoterapeuta e sono stato interessato ai disordini alimentari sin da quando ho iniziato la mia carriera. Ho iniziato a focalizzare la mia attenzione soprattutto sull’Anoressia Adolescenziale Femminile in risposta a un evento che potrebbe sembrare curioso, ma che ha avuto lo stesso effetto su di me di quello che ebbe la mela su Newton.

Venticinque anni fa stavo visitando una delle mie pazienti, una donna di 30 anni a quell’epoca. Soffriva di anoressia, che aveva patito ripetutamente dopo la sua adolescenza. La sua vita fetale e la sua nascita erano state costantemente problematiche: più volte era avvenuta la rottura della placenta, con presenza di emorragie, e alla sua nascita ci fu una grande perdita di sangue. Come un medico fa normalmente, stavo compilando la cartella clinica e ho fatto numerose domande alla giovane signora. La madre della paziente era presente durante la visita medica.

Quando ho posto alla figlia la semplice domanda: “Conosce il suo gruppo sanguigno? È 0, A, B o AB?”, è successo qualcosa di inaspettato. La madre divenne estremamente allarmata e prese a ripetere ossessivamente: “Mia figlia non ha il mio gruppo sanguigno!”.

Ero stupito dalla veemenza e dalla carica emotiva della madre. “Curioso”, pensai, invece di irritarmi per l’irruente interruzione della madre.

Da quel giorno in avanti ho costantemente chiesto a tutte le ragazze anoressiche e alle loro madri quali fossero i loro gruppi sanguigni. Con mia grande sorpresa, il risultato è sempre stato:

le giovani donne che soffrono di anoressia non hanno lo stesso gruppo sanguigno (0, A, B, AB) delle loro madri.

La placenta gestisce lo scambio di ossigeno, anidride carbonica, sostanze nutritive e rifiuti tra il sangue del feto e il sangue della madre. La placenta non consente ai globuli rossi della madre e a quelli del feto di entrare in contatto. Per questo motivo, di solito non c’è nessun problema tra madre e figlia con diverso gruppo sanguigno (0, A, B, AB).

Ma cosa succede se i diversi gruppi sanguigni della madre e della figlia vengono in contatto? Ciò potrebbe accadere, ad esempio, durante una gravidanza e/o un parto ad alto rischio (se particolarmente traumatico) o durante qualsiasi altro evento che possa aver provocato un contatto di sangue tra madre e figlia. Questi eventi, che causano il passaggio di alcuni globuli rossi oltre la barriera placentare (se i globuli rossi che passano fossero molto numerosi, la reazione causerebbe un aborto spontaneo), possono essere causati dalla sofferenza placentare dovuta a cause naturali o a volte anche a seguito di interventi chirurgici o diagnostici intrauterini invasivi.

Torniamo alla nostra domanda: cosa succede se i diversi gruppi sanguigni della madre e della figlia vengono in contatto?

Succede qualcosa di molto simile all’allarme che si attiva quando si verifica in medicina per sbaglio una trasfusione tra un donatore e un paziente che hanno gruppi sanguigni incompatibili.

In caso di trasfusione di sangue sbagliata, il paziente rischia di morire. Ma qui non stiamo parlando di una intera trasfusione, qui ci sono solo poche gocce che attraversano la placenta. Se solo poche gocce di sangue incompatibile entrano in contatto l’una con l’altra, il feto non corre il rischio di morire, tuttavia viene attivato un allarme, uno dei più forti allarmi che possa avere il corpo umano.

Questo allarme causato dal contatto tra gruppi sanguigni incompatibili madre/figlia è uguale a ciò che accadrebbe con una trasfusione sbagliata ed è un vero trauma. I forti effetti di questo allarme sono:

  • Immunologici
  • Neurovegetativi
  • Fisiologici
  • Emozionali

Questo allarme perturberà la relazione tra madre e figlia, specialmente in un periodo così delicato come l’adolescenza della figlia.

Nella mia raccolta personale di dati (oltre 100 casi raccolti in 25 anni):

1) solo le donne che hanno il gruppo sanguigno (0, A, B, AB) diverso dalla madre sono anoressiche. Ad esempio, una famiglia aveva due figlie che erano mie pazienti, e solo quella con un gruppo sanguigno diverso da quello della madre era anoressica.

2) molte donne hanno un gruppo sanguigno diverso dalla madre e non sono anoressiche.

Il risultato è:

Diverso gruppo sanguigno (0, A, B, AB) tra madre e figlia +

il contatto fra il sangue materno e il sangue della figlia =

il terreno (condizione biologica), la condizione necessaria ma non sufficiente (conditio sine qua non), per l’Anoressia Adolescenziale Femminile.

Mi spiego meglio. Il terreno è la condizione a monte che consente alle cause di essere efficienti e portare all’anoressia. L’anoressia non può essere indotta solo dalle cause che abbiamo elencato (disfunzionali: relazione con se stessa, relazione reciproca madre/figlia, relazione reciproca padre/figlia, relazione reciproca tra la ragazza e l’ambiente che la circonda, comunicazione affettiva ed emotiva tra i membri della famiglia, abitudini alimentari della famiglia). D’altra parte, il terreno da solo senza cause non può indurre l’anoressia.

Oggi l’Anoressia Adolescenziale Femminileè molto pericolosa, e manifesta un alto tasso di mortalità. Questa mortalità è solitamente dovuta al fatto che la diagnosi è fatta troppo tardi, infatti molte ragazze anoressiche cercano per la prima volta aiuto presso i servizi medici quando sono già pelle e ossa (molto tempo dopo i tre mesi di assenza del ciclo mestruale: sei mesi, un anno, a volte anche di più). Una ragazza di cui si sappia che ha un gruppo sanguigno diverso da sua madre, può essere soggetta a un controllo discreto da parte del medico di famiglia o dello psicologo scolastico. Non appena questi vede che la ragazza sta dimagrendo, deve controllare se la ragazza ha avuto il ciclo mestruale negli ultimi tre mesi. Se il controllo dà un risultato negativo, la ragazza potrebbe avere una diagnosi precoce di Anoressia Adolescenziale Femminile, certamente non molto tempo dopo il terzo mese di assenza del ciclo mestruale.

Quindi il trattamento dell’anoressia può iniziare immediatamente. Questa nuova prospettiva salverebbe molte vite.

Inoltre, se sappiamo che i gruppi sanguigni sono diversi e, in più, siamo in grado di determinare se c’è stato un contatto di sangue tra madre e figlia, possiamo formulare non solo una diagnosi precoce di Anoressia Adolescenziale Femminile, ma possiamo anche formulare un’ipotesi di rischio (diagnosi predittiva) ben prima dell’adolescenza (Bracco, 2014). Potremmo impostare una terapia senza aspettare che la ragazza diventi magra.

Il sottopeso costituisce un pericolo per la vita e in ogni caso essere state per lungo tempo sottopeso può portare a sindromi da carenza permanente (come l’osteopenia e l’osteoporosi) anche se l’anoressia è stata risolta.

Questo allarme immunologico, neurovegetativo, fisiologico ed emozionale – diversi gruppi sanguigni (0, A, B, AB) in madre e figlia che entrano in contatto l’uno con l’altro durante la gravidanza e/o alla nascita – è un vero trauma che disturba il relazione madre-figlia, specialmente durante l’adolescenza della figlia. Questa relazione allarmata tra madre e figlia viene erroneamente interpretata, dall’ambiente e da loro stesse, come un conflitto. La mia teoria consente di interpretare la relazione tra madre e figlia non come conflitto. La relazione è gravata di un allarme innescato dall’allarme immunologico, neurovegetativo, fisiologico ed emozionale dovuto al trauma del contatto fra gruppi sanguigni incompatibili. La mia nuova prospettiva porta un’ondata di pace all’interno della famiglia: una cosa è pensare che la relazione tra madre e figlia sia conflittuale, una cosa molto diversa è vedere quella relazione come una relazione allarmata. L’allarme è comunque una forma di amore, anche se disfunzionale. Interpretare la relazione madre/figlia come una relazione allarmata e non conflittuale lascia la famiglia fuori da quell’ombra di vergogna e biasimo in cui tende ad essere nel caso di anoressia. La colpa è spesso dilagante nelle famiglie con una figlia anoressica, ma la colpevolizzazione, tipicamente e paradossalmente, porta semplicemente ad un’intensificazione dei comportamenti sintomatici. La parola “anoressia” non sarebbe più una fonte di vergogna, ma diventerebbe una parola pronunciabile dalla famiglia al primo sospetto e questo faciliterebbe anche l’accesso alla terapia.

In questa prospettiva le differenze tra madre e figlia possono essere interpretate come una fonte di arricchimento per entrambe, piuttosto che una fonte di vergogna e colpa. La famiglia non ha più bisogno di giocare il gioco della colpa: di chi è la colpa? Della madre? della figlia? del padre? L’ombra della colpa e della vergogna può lasciare il famiglia.

La visione della scena cambia completamente: dall’allarme alla pace. Una figlia che soffre di anoressia non è più vista come ostile, ma come una persona che cerca la propria identità. Rispettare queste differenze tra madre e figlia può effettivamente incoraggiare la ragazza nella sua stessa differenziazione e scoperta di sé.

Biologia del trauma

L’allarme causato dal contatto tra gruppi sanguigni incompatibili di madre/figlia è un vero trauma, come abbiamo detto, e i forti effetti di questo allarme sono immunologici, neurovegetativi, fisiologici ed emozionali. Vediamoli un po’ meglio.

Gli effetti immunologici. A questo proposito è opportuna una breve spiegazione medica.

I diversi gruppi sanguigni sono caratterizzati da:

1) assenza di una sostanza chiamata antigene sui globuli rossi (gruppo sanguigno 0, dove “0” = “zero”, significa “antigene assente”), o

2) presenza di antigene A (gruppo sanguigno A), o

3) presenza di antigene B (gruppo sanguigno B), o

4) presenza di entrambi gli antigeni A e B (gruppo sanguigno AB).

Un organismo che entra in contatto con un gruppo sanguigno incompatibile innesca la risposta immunitaria degli anticorpi contro l’antigene di quel sangue.

Nel caso di contatto del sangue tra madre e feto durante la gravidanza e/o il parto, non c’è nessun problema se le due sono dello stesso gruppo sanguigno – e in molti casi sono dello stesso gruppo sanguigno. Vediamo cosa succede in caso di contatto sanguigno tra madre e feto di gruppo sanguigno diverso:

1) Madre di gruppo sanguigno A e feto B o madre B e feto A. È il caso peggiore per l’incompatibilità assoluta del sangue di entrambi: il gruppo sanguigno A è incompatibile con B, il gruppo sanguigno B è incompatibile con A. Nel caso del contatto sanguigno, entrambe stanno vivendo un allarme immunologico. Non sorprende che il rapporto tra le due sia gravato da un reciproco allarme e da un rifiuto mascherato. Inoltre, il sistema immunitario del feto non è solo allarmato dall’introduzione di un antigene esogeno, ma essendo il sistema immunitario ancora in un processo di maturazione è disturbato e confuso da questo antigene esogeno. Questa figlia, anche dopo la nascita, è probabile che abbia un sistema immunitario perturbato, quindi che soffra facilmente di allergie anche associate al cibo.

Se queste allergie associate al cibo non vengono riconosciute, ci sono due possibilità: (a) lei vive con un’assunzione nutrizionale tossica perché mangia anche cibi a cui è allergica; (b) invece di avere un’alimentazione equilibrata e varia, lei riduce sempre più la scelta dei cibi, in casi estremi può permettersi di mangiare solo un tipo di cibo (es. zucchine) e questo comportamento è in realtà causato dal fatto che non si è identificata la fonte della sua allergia. Di conseguenza, è importante testare le sue allergie alimentari. Una stretta collaborazione tra professionisti del settore sanitario, in questo caso tra psicoterapeuta e nutrizionista, è, quindi, cruciale, non solo durante la fase acuta del trattamento, ma anche per tutta la vita di questa persona, perché le allergie tendono a cambiare nel tempo.

2) Madre di gruppo sanguigno A o B e feto 0 o madre del gruppo sanguigno AB e feto A o B. Nel caso del contatto tra i due gruppi sanguigni, la persona in pericolo è il feto. Il feto 0 per la madre non è un problema, dal momento che il gruppo sanguigno 0 è un donatore universale. Chi vive l’allarme immunologico è il feto perché entrambi i gruppi sanguigni A e B sono incompatibili con il gruppo 0 del feto. Non sorprende che la figlia abbia un rapporto di allarme e rifiuto mascherato nei confronti della madre.

Inoltre, come abbiamo detto sopra, il sistema immunitario del feto non è solo allarmato dall’introduzione di un antigene esogeno, ma essendo il sistema immunitario ancora in un processo di maturazione è disturbato e confuso dall’antigene esogeno.

Come nel caso che abbiamo descritto sopra, questa figlia, anche dopo la nascita, è probabile che abbia un sistema immunitario perturbato, quindi che soffra facilmente di allergie anche associate al cibo.

Riguardando le allergie e la loro gestione, fare riferimento al punto 1 sopra.

3) Madre di gruppo sanguigno 0 e feto A o B o madre di gruppo sanguigno A o B e feto AB. Il gruppo sanguigno 0 è compatibile con il gruppo sanguigno A o B (tanto che il gruppo sanguigno 0, il cosiddetto “donatore universale”, può donare ad altri tipi, ma non ricevere da essi) e il gruppo sanguigno A o B è compatibile con gruppo sanguigno AB. Pertanto, in caso di contatto tra i due gruppi sanguigni, chi vive un allarme immunologico causato all’organismo dal contatto con sangue incompatibile è la madre e non il feto, che non subisce particolari effetti immunitari dall’evento. La madre si sente allarmata e in pericolo con sua figlia. L’allarme di questa madre innesca una reazione particolarmente forte e violenta della ragazza quando diventa un’adolescente che inizia ad avere cicli mestruali.

Gli effetti neurovegetativi. Per comprendere questi effetti è opportuna una breve introduzione al Sistema Neurovegetativo.

Il Sistema Neurovegetativo è composto da (1) il Sistema Parasimpatico, che è principalmente nel nervo vago dorsale (ma anche nel nervo pelvico) e (2) il Sistema Simpatico. Una vita sana richiede un equilibrio costante tra questi due sistemi.

Quando un evento porta all’attivazione di uno dei due sistemi oltre la capacità di gestione della persona (chiamata “resilienza”), la persona lo percepisce come traumatico. Quando questa attivazione coinvolge il Sistema Parasimpatico, c’è una risposta “congelamento e collasso”, altrimenti nota come risposta vagale dorsale (la risposta congelamento e collasso può coinvolgere anche il nervo pelvico, ma questo sarebbe oggetto di uno studio sulla sessualità). Quando questa attivazione coinvolge il Sistema Simpatico oltre la capacità di gestione della persona, c’è una risposta simpatica esagerata. I primi traumi dello sviluppo – quelli che si verificano dal concepimento alla nascita – di solito coinvolgono il Sistema Parasimpatico, con la risposta vagale “congelamento e collasso”.

Il nervo vagoè il punto di contatto tra il Sistema Neurovegetativo Parasimpatico e il Sistema extrapiramidale del Sistema Nervoso Centrale. È il decimo nervo cranico (CNX) e consiste nel nervo vago dorsale, costituito da fibre parasimpatiche (appartenenti al Sistema Neurovegetativo) e dal nervo vago ventrale, fatto di fibre extrapiramidali (appartenenti al Sistema Nervoso Centrale).

Un evento così traumatico (come il contatto tra gruppi sanguigni incompatibili di madre/figlia) che è pericoloso per la vita, proprio all’inizio della propria vita, provoca una reazione molto forte del Sistema Parasimpatico (vago dorsale). Questo è il sistema fisiologico che consente all’organismo di immagazzinare energia. Un essere umano, sia esso feto o neonato, di fronte a una situazione pericolosa durante il periodo di gestazione o di nascita, può solo tentare di conservare energia nell’attesa che la situazione si risolva da sola. Il feto non è in grado di combattere o fuggire. Ciò significa che il feto non è in grado di attivare l’altro sistema neurovegetativo, il Sistema Simpatico, il cui compito è regolare la risposta di combattimento o di fuga. Quindi, l’unica reazione possibile del feto o del neonato è di attivare il Sistema Parasimpatico (vago dorsale). Se il feto o il neonato hanno dovuto attivare il Sistema Parasimpatico (vago dorsale) per sopravvivere e non sono stati aiutati a neutralizzare la situazione in seguito, questo sistema rimane attivo e causa dissociazione tra corpo, emozione e mente – una specie di anestetico. Una tale reazione pervasiva è stata necessaria in quel momento per sopportare una così immensa minaccia e se questa attivazione persiste in seguito, l’anestesia continua. Questa attivazione può essere così potente che è difficile per il neonato autoregolarsi senza un adeguato intervento terapeutico.

Per far fronte a questa iperattivazione del Sistema Parasimpatico e controbilanciarlo per sopravvivere, la persona reagisce con un’iperattivazione del Sistema Simpatico.

È il meccanismo dello stress: entrambi i sistemi neurovegetativi (Parasimpatico e Simpatico) sono in equilibrio perché entrambi sono attivati, piuttosto che essere in equilibrio perché entrambi sono a riposo.

La terapia ripristina idealmente l’equilibrio all’interno del Sistema Neurovegetativo (tra Parasimpatico e Simpatico) permettendo il Sistema Extrapiramidale, le cui fibre si trovano nel nervo vago ventrale e anche in altri nervi cranici, per favorire il riequilibrio tra i sistemi Parasimpatico e Simpatico, portandoli a riposare e portando a una sensazione di benessere.

Gli effetti fisiologici. Chi ha subito un trauma fetale, anche quello del contatto con gruppi sanguigni incompatibili, potrebbe subire alcuni cambiamenti fisiologici che possono alterare le caratteristiche del corpo. Queste caratteristiche fisiche si evidenziano maggiormente nei momenti di forte stress. Il respiro può essere corto e avvenire prevalentemente nella parte superiore del torace (Lowen, 1975). La pelle, in alcuni casi, appare delicata e traslucida. I muscoli si contraggono spesso. La persona spesso avverte una sensazione dolorosa nell’area che corrisponde al plesso solare e un blocco cervicale. È come se le funzioni che controllano le sensazioni fossero ostruite da questo blocco cervicale durante il loro viaggio dal corpo alla testa, che porta a una mancanza di sensazioni. Il blocco può coinvolgere non solo la base del cranio, ma anche il sistema oculare, che è generalmente in uno stato di tensione perché la persona tende a tenere tutto sotto controllo visivamente. Questo controllo può essere diretto verso l’intero corpo, il che significa che varie articolazioni possono essere influenzate dal blocco. Questi individui sono particolarmente sensibili al calore, che tende a rilassare i blocchi muscolari, perché potrebbe indurli a essere più facilmente sensibili a quelle sensazioni che temono e che preferirebbero evitare di sentire (Heller, L. e LaPierre, A., 2012). Gli effetti emozionali. Il rapporto con la madre è emozionalmente molto ambivalente per una persona che ha sofferto di un trauma fetale. C’è la necessità e, allo stesso tempo, la paura di connettersi. C’è il desiderio di avvicinarsi e, allo stesso tempo, la necessità di scappare. Questa ambivalenza si manifesta nei confronti della madre e si ripete in ogni relazione con il mondo esterno, specialmente se la relazione è nutriente e importante. Questi individui possono avere talmente tanta paura di ricevere nutrimento che diventano così aggressivi da mordere, come un animale che si sente minacciato e che, per paura, morde chiunque si avvicini. Nessuno è risparmiato da questa ambivalenza: amici, famiglia e persino il terapeuta. Il desiderio di connettersi e il ricordo del trauma sono uniti. Naturalmente, l’ambivalenza segue sulla scia di una tale fusione. Questi individui desiderano il contatto e, allo stesso tempo, il contatto è la cosa che più li spaventa. Questa paura li spinge a voler fuggire da ciò che percepiscono come la fonte della loro esperienza traumatica. Vorrebbero raggiungere la realizzazione, ma si negano i propri bisogni, compresa la capacità di sentire o sperimentare emozioni. Desiderano ciò che li nutre, ma allo stesso tempo ne hanno paura. Il rapporto tra madre e figlia può diventare particolarmente stressante durante l’adolescenza, quando la figlia cerca una struttura per la propria identità, compresa l’assertività e l’opposizione verso le figure genitoriali. Questa, in conclusione, è una breve panoramica degli effetti immunologici, neurovegetativi, fisiologici ed emozionali del trauma causato dal contatto tra gruppi sanguigni incompatibili di madre e figlia. Secondo la mia teoria (che non solo consente la diagnosi precoce, ma anche la diagnosi preventiva) questo trauma è il terreno su cui sono radicate le cause dell’Anoressia Adolescenziale Femminile. L’intervento terapeutico, in medicina e psicoterapia, è tradizionalmente diretto a queste cause.  La terapia multidisciplinare. Le linee guida della pratica clinica internazionale concordano sul fatto che la prognosi dell’Anoressia dipende da: diagnosi precoce, continuità del trattamento, approccio terapeutico multidisciplinare. È chiaro come siamo tutti d’accordo sull’importanza della diagnosi precoce. Il trattamento dei disturbi alimentari, compresa l’Anoressia, deve essere multidisciplinare, e coinvolgere diversi specialisti della salute, che devono trasmettere messaggi coerenti, essere uniti nella condivisione di un piano terapeutico. I trattamenti devono essere articolati su più livelli di intensità a seconda del livello di gravità del paziente: si va dall’ambulatorio all’ospedalizzazione. Vediamo quali sono gli operatori sanitari coinvolti. La figura centrale è lo psicoterapeuta. Il nutrizionista è assolutamente indispensabile per una corretta rieducazione dietetica della ragazza e probabilmente di tutta la famiglia, che spesso ha cattive abitudini alimentari. Sono necessari anche uno o più terapisti familiari. La famiglia della paziente dovrebbe essere seguita terapeuticamente per aiutare la ragazza e perché la famiglia è spesso implicata nella patogenesi del suo disturbo alimentare. Queste figure (psicoterapeuta della paziente, medico nutrizionista e terapisti familiari) sono necessarie per la terapia dell’Anoressia. Ma la questione può essere più complicata. Le nuove forme di Anoressia Nervosa adolescenziale sono spesso caratterizzate da: abbassamento dell’età dell’insorgenza dell’Anoressia, associazione con comportamento autolesionistico, ideazione suicidaria e tentato suicidio. I comportamenti autolesionistici e suicidari richiedono la farmacoterapia, quindi in questi casi anche la figura dello psichiatra è necessaria. A questo punto per chiarire ulteriormente la terapia penso che sia bene presentare un caso clinico. Inizialmente sono stato contattato da una madre che voleva essere aiutata a gestire l’anoressia di sua figlia. La madre ha il gruppo sanguigno 0, la figlia A e il padre A. Nella storia medica, la madre aveva avuto perdite di sangue durante i primi mesi di gravidanza e aveva avuto amniocentesi. Il parto è stato relativamente traumatico e la madre ha subito un’episiotomia per evitare la lacerazione. È probabile che la madre, gruppo sanguigno 0, fosse entrata in contatto con il sangue di sua figlia, gruppo sanguigno di tipo A. In questo caso, la madre avrebbe attivato, per ragioni biologiche, l’allarme traumatico di gruppo sanguigno non compatibile (vedere pagina 11). La madre, che era una ballerina nell’adolescenza, aveva una storia di grave anoressia e non si sentiva in grado di affrontare quella di sua figlia. Voleva che suo marito si occupasse di questo problema. L’idea che sua figlia dovesse andare in terapia non era ancora concepibile in quel contesto familiare. Quindi ho accettato suo marito come paziente perché pensavo che avesse bisogno di terapia e anche che fosse l’unico modo per aprire un percorso terapeutico per sua figlia. Essendo il terapeuta del padre, e seguendo le linee guida universalmente riconosciute, in seguito non ho assunto altri ruoli nella terapia della ragazza anoressica. In seguito la ragazza scelse una psicoterapeuta di orientamento analitico junghiano e praticante EMDR. I genitori scelsero una psicologa e psicoterapeuta per il supporto genitoriale. Lei più tardi divenne la terapeuta della madre. Il ruolo del nutrizionista fu assunto da un medico, specialista in Scienze Alimentari e Nutrizionali. La ragazza inizialmente mostrò molte resistenze alla terapia e il suo dimagrimento continuò. Nell’anoressia, la resistenza al trattamento è molto comune. Questa resistenza è intrinseca all’anoressia, perché il paziente ha la profonda ambivalenza di voler guarire e di non voler guarire. Vivere senza mangiare è il “basso continuo” che accompagnava questa paziente. La paziente esprimeva la sua rabbia profonda non mangiando. Il dimagrimento divenne un’arma per affermare sé stessa contro i genitori, cioè una difesa psicologica inconscia. C’è un disordine nella maturazione della persona rispetto ai processi di attaccamento e connessione. Questi processi sono stati problematici e forse anche traumatici nella prima infanzia e nella vita fetale per varie cause (a cui aggiungiamo: differenza di gruppo sanguigno madre/figlia + contatto di sangue tra le due). Il paziente con queste dinamiche di attaccamento ha bisogno di essere approvato, ma per la sua ambivalenza questa necessità si mescola con la necessità di combattere usando il digiuno come arma. Nel trattare questo tipo di pazienti, come sempre nella terapia dell’anoressia, bisogna tenere a mente che il problema da psico-somatico diventa un problema somato-psichico. Mi spiego meglio: una dinamica psichica crea una situazione somatica che, a sua volta, tende a mantenere quella dinamica psichica. Infatti il digiuno, che inizia con una dinamica psichica, ha un effetto dopaminergico sul soma. La dopamina fa sentire la persona piena di energia, euforica e soddisfatta: è l’ormone del piacere e della ricompensa. Alla base della gratificazione data dalla riduzione dell’assunzione di cibo c’è il sistema dopaminergico di ricompensa che porta ad un aumento della spinta verso la restrizione alimentare per mantenere alta la produzione di dopamina e non porta ad una riduzione della fame, che è la stimolo all’assunzione di cibo, che invece persiste. (Zink & Weinberger, 2010)

Il peso della paziente scese a 36 kg/1,60 metri di altezza (79,3 lb/5,25 piedi).

Il caso clinico di questa paziente ci dà l’opportunità di descrivere il meccanismo della dopamina anche in quelle ragazze anoressiche che, per raggiungere il livello più alto nelle esibizioni sportive (es. danza classica, ginnastica artistica, ciclismo) si sottopongono a sacrifici e sforzi che sembrano inconcepibili a coloro che non sono sotto l’effetto dopaminergico causato da un supporto nutrizionale inadeguato. Negli atleti c’è la cosiddetta “triade dell’atleta”, costituita da: carenza nutrizionale, amenorrea, osteoporosi.

La nostra paziente, come accade con gli atleti, mostra anche una iniziale osteoporosi alla densitometria ossea nonostante adeguati elettroliti e vitamine, compresa la vitamina D, prescritti dal nutrizionista. Una importante osteoporosi caratterizza sempre una grave Anoressia Adolescenziale Femminile e può essere causa di osteoporosi per il resto della vita con un aumentato rischio di fratture.

Non ci stancheremo di ripetere che l’anoressia è caratterizzata da: perdita di peso e perdita del ciclo mestruale per più di tre mesi. Ripetiamo questo per avvertire il medico che, di fronte all’amenorrea derivante da un’anoressia che probabilmente non ha indagato e diagnosticato, pensa di sottoporre la paziente a una terapia ormonale. La principale strategia terapeutica sull’amenorrea che deriva dall’anoressia è il miglioramento del supporto nutrizionale con il supporto psicologico. Questa paziente è anche diventata amenorroica durante l’anoressia e suo il ciclo mestruale riprenderà solo dopo il corretto riequilibrio del peso.

La terapia di una paziente anoressica, che spesso è già difficile da fare a causa della resistenza della paziente, a volte è ancora più complicata a causa delle “reazioni negative del clinico a gruppi di pazienti resistenti al trattamento o stigmatizzati. Alcune ricerche hanno scoperto che i medici di tutte le discipline professionali reagiscono negativamente ai pazienti con disturbi alimentari. I medici inesperti sembrano avere atteggiamenti più negativi nei confronti dei pazienti con disturbi alimentari rispetto ad altri gruppi di pazienti. Le reazioni negative da parte del clinico nei confronti dei pazienti con disturbi alimentari riflettono in genere frustrazione, mancanza di speranza, mancanza di competenza e preoccupazione” (Thompson-Brenner, Satir, Franko, Herzog, 2012).

“I medici possono giocare un ruolo involontario nel perpetuare comportamenti alimentari disordinati. Le reazioni interpersonali sono di particolare rilevanza in quanto i medici (come membri della famiglia) possono reagire esprimendo un’emozione elevata e incoraggiando inconsapevolmente la continuazione dei comportamenti di disordine alimentare. L’ostilità, sotto forma di rialimentazione coercitiva in ospedale o in ambulatorio, può rafforzare il rifiuto dell’alimentazione condizionata e il pessimismo può ostacolare la motivazione a cambiare” (Treasure, Crane, McKnight, Buchanan, Wolfe, 2011).

I medici devono stare attenti a non farsi prendere nel gioco della paziente, cioè avere un controtransfert di pietà, impotenza, servilismo, disperazione e persino, all’opposto, di rabbia, furia terapeutica, rifiuto della paziente, speranza infondata. Una sana comprensione delle ragioni della paziente consente al medico di evitare contro-aggressioni.

Il medico, nelle forme di grave anoressia, deve gestire l’angoscia di morte che percepisce relativa alla paziente.

Di fronte al ricatto della paziente di suicidarsi anche con il digiuno, questa ansia potrebbe portare il medico a uno scoraggiamento che potrebbe condurlo ad aumentare la rabbia e il controllo sulla paziente o ad abbassare le braccia.

C’era questo rischio con la nostra paziente che, nonostante la terapia, aveva raggiunto i 36 kg a 1,60 metri (79,3 lb / 5,25 ft). Ma grazie alla competenza e alla fermezza di ciascuno dei medici e grazie ad un chiaro contratto terapeutico, che ogni medico aveva stipulato per raggiungere gli obiettivi raggiungibili, lo scoraggiamento è stato evitato.

Era anche necessario disarmare l’allarme che la madre aveva proiettato su sua figlia. In seguito a questo allarme, la madre ripeteva insistentemente “Hai mangiato?”, “Devi mangiare!” Questa insistenza aumentava il ricatto di sua figlia verso i genitori non mangiando.

Ho fatto alcune sedute di terapia per disinnescare l’allarme della madre. Questo processo terapeutico iniziò rendendo la madre consapevole di come l’allarme che aveva rispetto a sua figlia dipendesse probabilmente da quell’allarme che aveva sofferto durante la gravidanza (contatto con il gruppo sanguigno incompatibile di sua figlia).

Questa consapevolezza che l’allarme era dovuto a fatti biologici di cui lei non era responsabile, ha permesso alla madre, un po’ alla volta, di calmarsi. La madre accettò in buona fede che il nutrimento di sua figlia fosse interamente a cura di suo marito. Lui non aveva un passato di anoressia come lei, a questo riguardo non solo era molto sereno, ma era davvero un buongustaio. Il padre iniziò a cucinare cose deliziose, in linea con il punto di vista del nutrizionista, e frequentava buoni ristoranti con sua figlia.

E così, con l’impegno di tutti, la paziente lentamente accettò un modo più sano di controllare la nutrizione e lo stile di vita.

Il peso cominciò a crescere.

A questo punto un errore, che si potrebbe commettere, è una rialimentazione incontrollata che può condurre alla “refeeding syndrome”. Essa si verifica per assunzione improvvisa ed eccessiva di alimenti dopo un lungo periodo di digiuno, soprattutto se questi alimenti sono costituiti da grandi quantità di carboidrati. Dopo un lungo digiuno, gli zuccheri ingeriti vanno rapidamente nel sangue. Le cellule assorbono questi zuccheri molto rapidamente e richiedono una grande quantità di elettroliti per metabolizzarli. Questi elettroliti vengono sottratti al sangue, che dispone già di pochi elettroliti a causa del lungo digiuno. È probabile che si verifichi uno squilibrio elettrolitico, in particolare a causa del deficit di fosforo, che può anche essere mortale per la conseguente insufficienza cardiaca acuta. In realtà, la sindrome da rialimentazione si verifica quando non è pianificata una rialimentazione graduale, con quantità adeguate di nutrienti, elettroliti, vitamine.

Ma questo problema non si è verificato con la nostra paziente grazie al buon lavoro del nutrizionista. Tre anni dopo padre e figlia sono in vacanza al mare, è estate. Durante il tempo di scuola, la figlia trascorre molto tempo in cucina tra i compiti e le ore di lezione. Quindi, in questa particolare vacanza, decidono di prendersi una pausa dalla cucina, oltre che dagli studi. Corrono lungo la Riviera Ligure alla ricerca di prelibatezze gastronomiche, senza pregiudizi o preferenze: cibo da strada in sagre locali, ristoranti gourmet e taverne popolari. L’idea di una vacanza da buongustai era assolutamente nuova per loro.

Ora padre e figlia possono scrivere: “Qualche anno prima, la ragazza, ora adulta, era caduta in una trappola complessa che si chiama Anoressia Adolescenziale Femminile. Anche i suoi genitori, come spesso accade, erano confusi. Era una situazione di dolore condiviso, e nessuno aveva idea di che cosa si potesse fare. Il dilemma era che solo la ragazza sembrava sapere cosa fare: mangiare il meno possibile e alla fine raggiungere uno stato in cui lei non avrebbe mangiato più nulla.

Evitare quel dolore era molto difficile, una battaglia con alti e bassi. Ma di quale battaglia stiamo parlando? Chi era il nemico? Padre e figlia hanno trovato la descrizione più vicina di questa battaglia nella teoria dell’anoressia del dottor Lorenzo Bracco. Per la prima volta, come risultato di questa scoperta (l’allarme dovuto al contatto, durante la gravidanza, tra i diversi gruppi sanguigni di madre e figlia, allarme che perturbò profondamente la loro relazione), tutti i membri della famiglia, inclusa la figlia, trovarono la loro via di pace reciproca al di là del conflitto. La sensazione di sentirsi perduti, il gioco della colpa e l’autocolpevolizzazione in cui la famiglia era irrimediabilmente caduta, sono stati lentamente sostituiti da un senso di collaborazione contro il problema” (Voltolini D, Voltolini E., 2014).

All’età di ventun anni la ragazza, finalmente normopeso, cominciò una relazione con un boyfriend, amava cucinare, studiava Lingue Orientali all’Università, e andò a vivere per sei mesi in Giappone, lasciando i suoi genitori da soli con il suo cane.

Citazioni e riferimenti

 

Bracco, L. (2014) ANORESSIA, le vere cause: gruppi sanguigni e trauma. Amazon.

Linee guida per la pratica clinica:

American Psychiatric Association (APA 2006)

Management of Really Sick Patients with Anorexia Nervosa (Marsipan 2010)

National Institute for Clinical Excellence (NICE 2017)

Royal Australian and New Zealand College of Psychiatrist (RANZCP 2014)

Heller, L. & LaPierre , A. (2012) Healing Developmental Trauma (Berkeley, Ca) Noth Atlantic Books. Lowen, A. (1975) Bioenergetics. New York, Coward, McCarin & Georgen Inc.

Lowen, A. (1975) Bioenergetics. New York, Coward, McCarin, & Georgen Inc.

Thompson-Brenner, E. & Satir, D.A. & Franko, D.L. & Herzog, D.B. (2012) Clinician Reactions to Patients with Eating Disorders: A Review of the Literature. Psychiatric Services

Treasure, J. & Crane, A. & McKnight, R. & Buchanan, E. & Wolfe, M. (2011) First do no harm: iatrogenic maintening factors in anorexia nervosa. Eur Eat Disord Rev.

Voltolini, D. & Voltolini, E. (2014) Così abbiamo fatto pace con il cibo(Corriere della Sera).

Zink, C.F & Weinberger, D.R. (2010) The rewards of self starvation, Nature America